Caratteristica della regola di san Benedetto è una vita consacrata alla ricerca di Dio nel seno di una comunità di fratelli, i quali si pongono sotto la guida della regola e di un superiore per essere fedeli al Vangelo. Il monastero, o cenobio, costituisce una “scuola del servizio di Dio” (Regola di san Benedetto, Prol. 45): La preghiera liturgica, la lectio divina (lettura orante delle sacre scritture), e il lavoro necessario al mantenimento in un regime di semplicità ed essenzialità, scandiscono la giornata dei monaci.
Peculiare della riforma di Romualdo, monaco ed eremita vissuto tra il 952 e il 1027 è l’innesto, all’interno della, tradizione comunitaria benedettina, di strutture istituzionali che consentissero di vivere il carisma di una vita di solitudine ad edificazione di tutti. Come la comunità è il luogo dell’esercizio della carità fraterna, perché “chi non ama suo fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20), così la solitudine e il silenzio sono il luogo del confronto personale con Dio che chiama ciascuno a una risposta d’amore unica e irripetibile.
Dimensione cenobitica e dimensione eremitica costituiscono pertanto nella vita dei singoli e delle comunità camaldolesi una realtà unitaria, all’interno della quale si esprime una dialettica di tensioni che in un testo della primitiva tradizione romualdina è espresso come un “triplice bene”: “la vita cenobitica che i novizi desiderano, l’aurea solitudine per i maturi assetati del Dio vivente, e l’annunzio evangelico tra i pagani (fino alla possibile martirio) per chi anela alla liberazione e all’essere con Cristo” (Bruno di Querfurt, Vita dei cinque fratelli, 2). A questo spirito originario intendono essere fedeli ciascun fratello secondo i propri carismi e le comunità secondo la loro specifica fisionomia, nell’attenzione ai segni e alle attese autentiche che l’evolversi dei tempi suscita.